Situandoci magari pigramente a mezza strada, doveroso è osservare come, una volta adeguatoci al quotidiano claustrofobico e non esattamente eccitante delle miserelle di quella fine Ottocento, L'APOLLONIDE costituisca l'opera a tutt'oggi più riuscita, poiché equilibrata, ma sopratutto più umana, di uno tra i registi più intellettualoidi del cinema francese. Non solo per la cura raffinata della regia, lucidamente attenta ai micidiali languori della decadenza ambientale: ma finalmente per una certa tenerezza, uno sguardo che lascia spazio anche all'emozione nelle immagini di un cineasta dalla sapienza tutta cerebrale.

Impeccabile nel rifiuto di ogni voyeurismo, intelligente nell'astenersi dal miserabilismo di un'aneddotica che si concede un unico picnic solare ai bordi della Senna come antidoto all'incombenze suicidarie oltre che della sifilide, il film di Bonello cade comunque nel tranello di una sceneggiatura che stenta terribilmente a organizzarsi su una trama narrativa. D'accordo affidarsi alle emozioni degli ambienti: ma da che mondo è mondo anche quello delle case chiuse si è nutrito di storie.